Nel territorio di Menfi si trovano diverse aree di interesse archeologico e storico, che testimoniano le antiche origini dell’area. A nord di Sambuca di Sicilia, all’interno del perimetro della Riserva Naturale Orientata di Monte Genuardo, si trova Adranone, un insediamento greco-punico risalente al VII-VI secolo a.C. La storia di quest’antica sottocolonia selinuntina si svolge a confine tra l’area sicana ellenizzata e l’area elimo-punica. La presenza dei numerosi rinvenimenti archeologici lo fanno ritenere il centro greco-punico più importante della Sicilia. La città venne rasa al suolo dal console Marcello nel 250 a.C., per avere dato, nel corso della seconda guerra servile, appoggio incondizionato agli schiavi. Ad Adranone, infatti, gli schiavi trovarono calorosa accoglienza, poiché la città era devota al culto del Dio Adrano, divinità sacra agli schiavi e simbolo di ospitalità. Intorno al 210 a.C., dopo la capitolazione di Siracusa e di Agrigento, la Sicilia fu definitivamente unificata sotto il dominio di Roma: sulla civiltà greca si innestò quella latina: l’Isola da questo momento entra nella sfera politica romana e la cronaca dei suoi avvenimenti è priva di valore storico. Sempre a Sambuca di Sicilia, in direzione del Lago Arancio vi è la Necropoli di Risinata, sito composto da una serie di tombe a grotti cella artificiali scavate lungo il costone calcareo. Nel territorio del comune di Montevago, in contrada Caliata, si trova il sito archeologico situato sotto il costone tufaceo che sovrasta la media Valle del Belice ed offre una cronologia con testimonianze attribuibili al I e II secolo a.C. la sistematicità esplorativa ha inoltre riportato alla luce insediamenti del V e VI sec. d.C. (tardo Impero), i resti di un casale musulmano databile attorno al XI secolo d.C. e successivi fino al XIII secolo d.C. Un’altra zona importante dal punto di vista archeologico è la Rocca di Entella, che per la sua collocazione geografica si prestava a sostenere l’assedio da parte del più accanito degli invasori e pertanto è stata fin dai periodi più remoti teatro di numerose battaglie.

Sulla sua sommità si trovano i resti della città di Entella che, con Erice e Segesta, rappresentava una delle tre città siciliane di origine elima. Dal IV secolo a.C. fino alla prima guerra punica fu coinvolta nelle guerre tra Siracusani, Cartaginesi e poi Romani. Diodoro cita il territorio entellino in riferimento agli episodi del 345 a.C., quando i cartaginesi di Annone “in primo luogo voltisi contro Entella, ne misero a ferro e fuoco il territorio e strinsero d’assedio gli abitanti”. Nel tardo medioevo costituì, con il Castello di Jato, l’ultimo baluardo di difesa ed il centro più vivace di resistenza contro la potenza saracena e Federico II, che la distrusse nel 1246. Fu a partire dal 1979 che ebbero inizio le ricerche archeologiche, anche se solo dal 1983 furono avviate regolari campagne di scavi che hanno riportato alla luce tratti delle mura, una delle porte della città, un grande magazzino destinato all’accumulo di cereali, i resti di un castello ed una necropoli. Il territorio entellino gravita intorno al corso del Fiume Belice sinistro e si articola in tre bacini fluviali principali, un tempo più copiosi di acque: il Realbate a nord, il Vallone Vaccarizzo al centro ed il Senore a sud. È un territorio che paesaggisticamente si presenta come una serie articolata di colline, ampie vallate e ripidi rilievi in gesso e arenaria, che nell’antichità erano abitate e coltivate. La maggior parte di questo territorio ricade nei limiti amministrativi del comune di Contessa Entellina, che è stato ampiamente sottoposto a ricognizioni intensive nel periodo 1998-2001 ad opera della Scuola Normale Superiore di Pisa. A Montevago, in cotrada Mastragostino, vi sono i resti di una villa rustica romana risalente al III secolo a.C. La Sicilia, in quell’epoca, era organizzata in circoscrizioni e le ville rustiche, all’interno, gestivano nel modo migliore le risorse agricole con l’approvvigionamento di Roma. Il territorio di Montevago, data la vicinanza del Fiume Belice, che consentiva il trasporto dall’entroterra fino al mare, assunse un ruolo determinante nell’attività di trasporto dalla Sicilia.

A Menfi, in contrada Montagnoli, si trova uno scavo archeologico di notevole importanza. La non immediata raggiungibilità e la moderata ascesa, consigliano un pubblico appassionato e dinamico. La zona include due collinette rocciose che si elevano per circa 80 metri dal livello della pianura alluvionale del Belice, che costituiscono l’ultima propagine dell’altopiano del Belice. Il sito presenta reperti che testimoniano la presenza dell’uomo fin dalla preistoria. Dalla capanna circolare e la necropoli a grotticella artificiale del VIII secolo a.C., si registra una presenza pressochè continua fino agli insediamenti romano/bizantini. Il sito potrebbe rispondere alle indicazioni di Kluverio, secondo la quale trattasi dell’antica città sicana di Inycon, sede antica del regno del re sicano Kokalos, tramandata dagli storici greci come città del “vino eccellente”. Tale supposizione ad oggi non ha trovato supporti storiografici. Altri rinvenimenti interessanti sono quelli di contrada Dragonara, San Nicola, Scuderi, della zona rupestre tra la Villa Comunale e i vecchi quartieri di San Vito e San Calogero tutti nel territorio di Santa Margherita di Belice. Di analoga importanza sono i siti trovati nelle grotte di San Nicola, di contrada poco neve ad est del Bosco di Monteleone, di Vrucara e quelli di contrada Caliata tutti nel territorio di Montevago. A Sciacca non esistono contrade prive di testimonianze di antiche età. Vestigia di insediamenti preistorici, della storia antica e medievale sono stati rinvenuti nei luoghi più impensati. A seguito di campagne di scavi, si è potuto constatare che le più antiche testimonianze della presenza dell’uomo a Sciacca risalerebbero al paleolitico inferiore.

Al Nadorello, a Capo San Marco, a Rocca Ficurra, nelle pendici meridionali di Monte Kronio e presso la Grotta Galo sono stati rinvenuti vari oggetti, quali utensili di pietra scheggiata, amigdale, ciottoli lavorati etc… databili a centoventimila anni fa. Altri siti preistorici sono la Necropoli di Tranchina dell’età del rame e il dolmen di contrada Lumia. Il periodo neolico è documentato anche da due scoperte importanti: la Grotta del Fico, presso il Monte Kronio, e la Grotta della Lisaredda, sul Monte Arancio. Nella Grotta del Fico sono stati ritrovati utensili di selce (coltelli, punteruoli, etc…), resti di pasti (ossi di suini e ovini), frammenti ceramici di cui molti decorati, risalenti al periodo neolitico inferiore, età in cui fu introdotta l’agricoltura in Sicilia. La grotta fu abitata per un lungo periodo della preistoria siciliana (circa 3.800 anni fa), mentre a partire dagli inizi della colonizzazione greca fino all’età romana, fu frequentata a scopo di cura o di culto. Nella Grotta della Lisaredda sono stati rinvenuti reperti ceramici simili a quelli della Grotta del Fico. A questi si aggiunge un altro sito, quello di Rocca Nadore: gli scavi ultimati nel 1987 hanno portato alla luce, insieme a frammenti di materiale ceramico, monete ed altri reperti, un centro fortificato del IV-III secolo a.C., le cui strutture murarie sono riferibili per la tipologia al periodo punico. Tra le altre necropoli del territorio di Sciacca si ricordano quelle di: San Bartolo, Locogrande, Salinella, Monte Raggio, Perrana, etc… Nella zona periferica della città di Sciacca (Rocca di Guardia, Valle dei Bagni, Rocca dei Fiori, nei pressi del cimitero), così anche dentro la città sono disseminate molte grotte preistoriche scavate nella roccia o inglobate in vecchie abitazioni (es. nel cortile Carini, in via Pietre Cadute, etc…) che furono usate come abitazioni o sepolture. Insediamenti di età greca, punica e romano-bizantina sono stati ritrovati nelle seguenti località: Grattavoli, Guardabasso, Gaddini, Misilifurmi, Schunchipani, San Bartolo, Concerie, Carabollace, Locogrande, Galati, Lucchesi, etc…

Nella zona di Grattavoli alta si trova un santuario rupestre, in parte crollato, ascrivibile al periodo bizantino. Fa parte del santuario un’edicola scavata nella roccia che per le sue forme ricorda l’ingresso della cosiddetta Tomba di Archimede di Siracusa. Nella medesima zona, lungo un crostone, ci sono ripari sotto roccia, cavità varie tra cui la Grotta dei Graffiti che porta i segni della simbologia cristiana, per la presenza di una comunità cenobita, che si può fare risalire anch’essa all’età bizantina. A Ribera nel 1982 fu scoperta una necropoli risalente al XIII secolo a.C. E’ situata in contrada Magone-Anguilla-Casino, in una zona limitrofa al centro abitato. In essa si trovano una trentina di tombe a camera e a grotticella artificiale, di cui alcune con una cella bicamerale, databili tra la media e la tarda età del bronzo. Alcune sono precedute da un corridoio d’accesso, dromos, che si slarga su un vestibolo trapezoidale o rettangolare da cui si accede alla vera e propria tomba, che consiste in una o due camere con volta a cupola (thòlos), con un gradino sul quale veniva adagiato il defunto. Le dimensioni sono simili per le varie tombe, tranne una, più grande, con diametro di 3 metri ed altezza 1,95 metri. Questa tipologia di tombe, di cui in Sicilia occidentale sono uniche, si trova anche nel siracusano. Altri scavi nelle zone Ciavolaro e Castello confermano la presenza della civiltà dei Tapsos (primi abitanti della Sicilia Orientale) e diversi segni di popoli vissuti in queste zone nell’età del Rame.