Un complesso ecosostenibile di otto appartamenti, con vista campagna e mare, inaugurato la scorsa primavera, che sarà ampliato di altre unità provviste di tetti verdi; una piscina naturale; l’accesso alla pista ciclabile Menfi-Porto Palo; un country sporting club; un’area ristorazione; ma, soprattutto, dolci e gastronomia dalla farina di carrubo.

Nicola Napoli conta di avviare nel 2014 il primo molino del carrubo Nicola Napoli conta di avviare nel 2014 il primo molino del carrubo. È il progetto cultural-imprenditoriale della società Khirat di Menfi (Agrigento), dei fratelli Napoli (Francesca, insegnante e imprenditrice; Ignazio, consulente in strategie aziendali; e Nicola, ispiratore del progetto, imprenditore e consulente gastronomico, fiduciario Slow Food del territorio). «Il termine Khirat è di origine araba e significa seme di carrubo», spiega Nicola Napoli. «Nella lingua italiana è tradotto con il termine di carato. Gli arabi avevano compreso che i semi del carrubo hanno un peso costante, 1/5 di grammo, e così li utilizzavano come unità di misura, in particolare per pesare gemme e i preziosi».

L’albero, diffuso in tutto il Mediterraneo, con i suoi semi facili da recuperare rappresentava pertanto un’unità di misura, certificata dalla natura, che travalicava popoli, lingue e culture. «Per risalire al nome è stata compiuta una ricerca storica, eseguita in parte su materiale d’archivio della nostra famiglia, del nonno Nicolò, attento cronista. Ha lasciato varie annotazioni che hanno fatto riemergere una situazione socio-economica ormai sopita nella memoria degli abitanti di Menfi». Un viaggio a ritroso nel tempo, che ha mostrato che, sin dalla fine del ’700, nell’area in cui oggi sorge il Khirat, i declivi e parte della vallata erano ricchi di alberi di carrubo. Un arbusto sempreverde dall’apparato radicale possente, alto anche fino a dieci metri.

«La popolazione menfitana — prosegue Nicola — era prettamente dedicata all’attività agricola e una porzione di questa economia, ma anche di sostentamento, era ricavata dai frutti del carrubo. Dai quali si ottiene una farina utilizzata in cucina e impiegata come additivo di marmellate, cotognata, biscotti, per la preparazione di mostaccioli con vino cotto e addensante nei dolci. Altre volte era impiegata per la panificazione, la pasta e la nfigghiulata. Il piano di recupero del carrubo è partito nel 2006.

Nel 2014 la famiglia Napoli conta anche di avviare il primo molino specifico per la macina del carrubo; un frantoio e un laboratorio per le elaborazioni gastronomiche. L’investimento globale previsto è di 15-16 milioni di euro.

Di: Alessandro Luongo

Per: Corriere della Sera