Estesa complessivamente 5.862,07 ettari, occupa parte dei territori dei comuni di Palazzo Adriano, Chiusa Sclafani, in provincia di Palermo, Burgio e Bivona in provincia di Agrigento. La Valle del Sosio è un’area a vocazione agricola che risulta al visitatore tanto stupenda quanto sconosciuta, in quanto lontana dalla folla e dai luoghi alla moda e normalmente non inserita nei grandi itinerari turistici. Qui è possibile coniugare interessi turistici e naturalistici con quelli più fortemente legati all’attività agricola o alla storia dell’arte. Il Gemellaro già nel lontano 1887 additò al mondo intero la grande importanza geopaleontologia della Valla del Sosio sostenendo che essa “situata in mezzo a montagne triassiche… In mezzo a questa rocce, diverse di natura ed età nel tratto fra la Serra di San Benedetto e la Portella di Gebbia, ci sono tre rupi calcaree: le Rocce di San Benedetto, la Rupe di Passo di Burgio e la Pietra di Salomone che costituiscono le rocce più antiche di tutta la serie di terreni della parte occidentale della Sicilia”. Le rocce della Valle del Sosio costituiscono una singolarità rispetto al territorio siciliano in quanto risalenti ad una fase geologica conosciuta meglio come Permiano. Il giacimento del Sosio o di Palazzo Adriano, con i suoi spuntoni calcarei alloctoni contenenti ricche e belle faune ha indotto alcuni autori a proporre l’istituzione di un piano, appunto il Sosiano. Lungo il corso del fiume si incontra la Diga di Gammauta, una concavità naturale chiusa in mezzo ad una lussureggiante vegetazione caratterizzata dalla tipica macchia mediterranea. Ed ancor prima, il Lago Piano di Leone da cui ha inizio il corso del fiume, mentre sul versante orientale incontriamo il Lago Raia o di Prizzi da cui si diparte l’omonimo fiume affluente del Sosio.

Lungo il Fiume Sosio, erano dislocate numerosi mulini, tra cui i più importanti Paratore, Giurfo, Strittu, etc…, oggi quasi tutti ridotti ad uno stato di ruderi; due centrali idroelettriche ed ancora due siti archeologici Hyppana e Scirtea-Cristia; il primo è un centro indigeno del VII e VI sec. a.C. ed il secondo legato alla seconda guerra servile. D’importanza notevole sono i monasteri oramai in stato di avanzata vetustà, che mostrano ancora l’antico splendore: San Cristoforo, Sant’Antonio, Santa Maria, di Sant’Adriano. Tutto il territorio è abbastanza singolare in quanto siamo in presenza di una morfologia che va dai 200 metri s.l.m. della Piana di San Carlo ai 1.436 metri s.l.m. della Montagna delle Rose, situata tra Bivona e Palazzo Adriano; ciò determina naturalmente dei canyon che costituiscono non solo l’attrattiva del territorio, ma ne condizionano anche le colture. Su questa vetta alta cresce egregiamente una foresta composta prevalentemente da leccio (Quercus ilex) e roverella (Quercus pubescens) alle quali si associano il raro carpino nero (Ostrya carpinifolia), il pioppo nero (Populus nigra) e lungo i valloni più freschi il salice (Salix alba). Nelle stazioni più fresche si trovano anche foreste di leccio, in perfetto equilibrio con l’ambiente (foreste climax), formazioni indigene che possono considerarsi l’antico nucleo vegetale forestale che un tempo ricopriva buona parte dei Monti Sicani. Una delle zone più suggestive della riserva è il bosco di Sant’Adriano, ubicato in territorio di Burgio, che occupa gran parte del versante occidentale dei Monti di Palazzo Adriano. La particolarità dell’area è determinata anche dall’irregolarità del versante che, passando dai 1.220 metri s.l.m. (vetta del Pizzo Gallinaro) ai 220 metri s.l.m. dell’alveo del Fiume Sosio, forma creste e speroni che si alternano ad altopiani a bosco o a pascolo. La ricca flora della Riserva è dunque tipica dell’ambiente mediterraneo. Alle essenze sopra elencati si aggiungono frassino (fraxinus oxycarpa), orniello (Fraxinus orni), acero montano (Acer pseudoplatanus), olivastro (Olea europea), carrubo (Ceratonia siliqua), sorbo domestico (Sorbus domestica), pero selvatico (Pyrus pynaster), corbezzolo (Arbutus unedo), terebinto (Pistacia terebinto), alaterno (Rhamnus alaternus), lentisco (Pistacia lentiscus), palma nana (Chamaerops humilis), biancospiano (Crataegus monogyna), nonché rosa selvatica (Rosa canina), rovi (Rubus sp.), pungitopo e numerose liane (tamaro, smilace, onicera, clematide) che si arrampicano sugli arbusti e sugli alberi nel tentativo di aprirsi un varco verso la luce.

Nella Riserva sono anche presenti alcune popolazioni di conifere, quali pino d’Aleppo (Pinus halepensis) e pino domestico (Pinus pinea), che preparano l’ambiente alle querce già presenti nel sottobosco, nonché boschi di eucalipto (Eucaliptus sp.), sicuramenti meno interessanti dal punto di vista ecologico, ma che comunque svolgono una valida azione di difesa del suolo. Sulla mitica Montagna delle Rose poi, separata dalla Riserva dal Vallone delle Acque Bianche, è possibile ammirare nel sottobosco le rose peonie senza spine. Oltre che di peonie, la flora della Montagna delle Rose si compone di giacinti, agrifogli, pungitopi, lavagelli, biancospini, primule, anemoni, vitalba e varie specie di orchidee. Abbondanti sono anche le erbe aromatiche, quali origano, ruta, aneto, salvia, cumino, issopo, malva, menta, melissa, timo e nepetella. Secondo un recente censimento floristico, le specie presenti sono ben 634, a conferma di una diversità floristica e di una importanza botanica davvero considerevoli. Nelle garighe e nelle praterie steppiche della Riserva sono presenti: rosa canina, asparago dei boschi, clematide, caprifoglio mediterraneo, pungitopo e tamaro; lungo i corsi d’acqua e delle forre, che gli abitanti del luogo chiamano “nachi”, è insediata una lussureggiante vegetazione igrofila di tipo ripariale caratterizzata da specie prevalentemente arboree ed arbustive, di cui si citano pioppo bianco (Populus alba), pioppo nero (Populus nigra), salice bianco (Salix alba), olmo (Ulmus canescens), frassino (Fraxinus oxycarpa), oleandro (Nerium oleander), etc…, mentre tra le erbacce figurano equiseto massimo, gigaro chiaro, tamaro, rovo comune ed altre specie.