Nonostante la cittadina di Menfi, in Sicilia, può essere annoverata tra le “città nuove”, il suo territorio è stato anticamente antropizzato. Infatti, in contrada Montagnoli, due campagne di scavi hanno portato alla luce un insediamento capanni colo risalente all’età del ferro. Tra gli altri resti venuti alla luce, sono interessanti quelli delle Mura, la Porta Urbica di età greco-punica, la necropoli protostorica con tombe a forno e le tombe ad arcosolio di età bizantina. Interessante è la vicenda ancora insoluta della città sicana di Inyco, della cui esistenza ne parlano vari storici, ma la cui esatta localizzazione resta ancora una contesa tra diversi paesi della Valle del Belice, ma che secondo le indicazioni del Kluverio, potrebbe farsi coincidere con i resti di contrada Montagnoli. Durante la colonizzazione greca (VIII-VII secolo a.C.) Inyco veniva segnalata dagli storici del tempo, Diodoro Siculo, Erodoto, Strabone, per l’ottimo vino che vi si produceva. Con la conquista islamica, che diede inizio all’età araba in Sicilia, nel IV secolo, i Berberi fondarono nel territorio di Menfi il casale di Burgiomilluso, dotato di un fortilizio, sede dell’emiro. Burgiomilluso fu spopolato nel 1222 con la conquista normanna, che avvenne nell’Isola nell’XI secolo e durante la quale furono distrutti gli insediamenti musulmani che testimoniavano la passata dominazione. Nel 1239 Federico II di Svevia fece costruire il castello di Burgiomilluso, probabilmente sui resti del fortilizio arabo; questo castello era più una residenza ove sostava l’imperatore che un castello a difesa del territorio. Tuttavia la fondazione di Menfi è da attribuirsi a Diego Aragona Tagliavia Pignatelli, principe di Castelvetrano e conte di Burgiomilluso, da poco elevato alla dignità di Contea. La nuova cittadina sorse accanto al maniero Svevo; infatti il castello occupava una posizione strategica, in quanto era posto al centro del grande feudo fertilissimo chiamato dei Fiori ed all’incrocio di un antico percorso che congiungeva la città demaniale di Sciacca con le città feudali di Castelvetrano, Partanna, Sambuca di Sicilia e Santa Margherita di Belice. Il villaggio secentesco aveva il nome di Burgiomilluso, nella storia confuso con la cittadina di Burgio e Borsetto, in seguito la città fu chiamata Menfrici ed infine Menfi. La fertilità della terra e la presenza di ricche colture d’origine araba, (agrumi, cotone, canna da zucchero, sommacco, etc…) furono da richiamo per agricoltori, artigiani e commercianti. Il commercio contribuì allo sviluppo di questa zona anche per la riattivazione dell’antico porto selinuntino di Porto Palo. Nel primo censimento della popolazione, del 1653, la città contava 576 abitanti. Diego Aragona Tagliavia fece demolire in parte il castello, lasciando solo la torre, accanto alla quale fece costruire il palazzo baronale, davanti al quale vi era una piazza da cui partiva la strada principale costeggiata da case per i coloni. Con l’abolizione del feudalesimo in Sicilia, Menfi divenne città demaniale e la Torre Federiciana fu adibita a carcere. Durante il Risorgimento, con l’unificazione delle due corone di Napoli e della Sicilia nel Regno delle due Sicilie, che portò anche all’abolizione delle tre Valli in cui era divisa l’Isola, Menfi entrò a far parte della provincia di Girgenti, distretto di Sciacca. La cittadina di Menfi è posta sui rilievi collinari, a tre chilometri dalla costa mediterranea. Presenta, almeno per la parte più vecchia, un impianto urbanistico seicentesco a scacchiera con comparti molto ampi e corti interne, con espansioni sette-ottocentesche, connotazione persa in seguito al terremoto del 1968, che provocò ingenti danni sia alle abitazioni private che agli edifici pubblici.

I monumenti e le opere d’arte di Menfi

La chiesa madre

Dedicata a Sant’Antonio da Padova, l’antica Chiesa Madre fu distrutta dal sisma del 1968 e successivamente ricostruita. La Chiesa originaria era stata iniziata nel lontano 1662 e terminata dopo il 1700; fu elevata a parrocchia nel 1705. Il suo interno era costituito da tre larghe navate e da cinque arcate. Dalla facciata si aprivano tre porte, di cui una centrale e due laterali con portali in pietra locale. Sulla volta della navata centrale vi erano ventuno affreschi raffiguranti scende del Vecchio e Nuovo Testamento, opera del pittore Francesco Cutrona. Sugli altari marmorei si conservavano preziose opere d’arte, quali alcune tele settecentesche di Fra Felice da Sambuca, un crocefisso ligneo del XVII secolo ed un gruppo ligneo policromato raffigurante la Madonna del Rosario e i Santi Caterina e Domenico, dello stesso secolo. Oggi dell’antica chiesa rimangono le cinque cappelle della navata destra e quella di fondo della stessa navata, fabbricata nella forma barocca.

La chiesa di San Giuseppe

Eretta nel 1715, è caratterizzata dalla facciata adornata da intarsi e paraste e con la torre campanaria a pianta triangolare. L’interno, ad unica navata, con volta a botte lunettata, è riccamente decorato. Tra le opere che si conservano nella chiesa vi sono: una statua in legno policromato raffigurante Santa Lucia, dello scultore Filippo Quattrocchi, una tela raffigurante Sant’Eligio, una piccola statua lignea raffigurante San Biagio ed una pala d’altare con lo sposalizio di San Giuseppe, tutte opere settecentesche. Insieme all’attigua Chiesa di Gesù e Maria rappresenta l’unico complesso monumentale religioso del Settecento che rimane, pur avendo subito dei danni ad opera del sisma del 1968.

La Chiesa del Purgatorio

Costruita tra il 1739 e il 1769, con facciata rustica, si caratterizza per il suo sito che domina il quartiere Purgatorio. Sembra che tale chiesa sia stata voluta e realizzata in parte con fondi del popolo per la distanza del quartiere dalla Chiesa Madre; oltre al finanziamento diretto da parte dei fedeli, alla sua costruzione contribuì anche Ferdinando II di Borbone. Al suo interno sono presenti affreschi del pittore Gianbecchina raffiguranti la Natività, la Passione e la Resurrezione.

Chiesa e Collegio di Maria Santissima Annunziata

La costruzione di questo complesso religioso risale al 1807; il collegio aveva lo scopo di impartire una sana educazione alle fanciulle. La facciata è completata da una torretta di forma quadrata che sovrasta il secondo ordine e nella quale è collocato l’orologio comunale munito di campane. L’interno della Chiesa presenta un’aula rettangolare decorata da stucchi ed elementi decorativi. Sull’altare maggiore si trova un riquadro in stucco che ospitava una tela raffigurante l’Annunciazione, di cui rimane solo la parte superiore.

La Chiesa della Madonna del Soccorso

La costruzione di questa chiesa fu iniziata nel 1837, ma solo nel 1960 divenne parrocchia con la denominazione di Beata Maria Vergine del Soccorso. La Chiesa fu completamente distrutta dal terremoto del 1968 e successivamente ricostruita.

Il Castello Svevo

Fu fatto costruire nel 1238 da Federico II di Svevia, forse sui ruderi di un fortilizio arabo. Originariamente era costituito da due corpi quadrangolari addossati e quattro piani collegati da una scala a chiocciola con un’altezza di metri 18,58. Oggi noi conosciamo solo la Torre Federiciana, distrutta dal sisma del 1968 e ricostruita su progetto di Vittori Gregotti, ricalcandone l’antica volumetria, e lasciando nelle nuove mura un fornice che contiene i resti del basamento del castello di Burgiomilluso.

Il Palazzo Pignatelli

Domina la piazza del paese, dove si trova adiacente alla Torre Federiciana. Fu fatto costruire da Diego Aragona Tagliavia nel 1638, sull’area dell’antico castello medievale. Il Palazzo si sviluppa attorno ad un cortile e presenta una tipologia prettamente feudale con annessi gli abitati per gli animali e le derrate agricole; infatti vi sono ancora tre magazzini oggi in disuso, che servivano per conservare il raccolto delle terre del Principe, successivamente adibiti a magazzini comunali ed a teatro, poi a cinema. Uno è chiamato “degli archi” per i tanti archi con contrafforti che sostengono la volta, l’altro “del vino” ed il terzo “cuba”, nome arabo che ricorda l’antica origine. Nel corso di lavori di restauro e consolidamento della struttura effettuati negli anni Novanta, sotto la pavimentazione furono rinvenute una serie di tombe appartenenti ad una necropoli tardo antica del V-VI secolo d.C.; alcune tombe si presentano intersecate da un moncone di muro in pietrame, rozzamente squadrato, realizzato successivamente, associato a ceramica arabo normanna, probabilmente appartenuto al forte berbero Burgiomilluso. Il prospetto del palazzo era stato rifatto negli anni Trenta del XX secolo, mentre recentemente tutto il palazzo è stato ristrutturato.

Il Palazzo Bivona

Si tratta di un’abitazione signorile fatta costruire dalla famiglia Bivona tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento. Un portale in pietra calcarea sagomato di gusto neoclassico dà accesso ad un cortile interno intorno al quale si sviluppa l’edificio al piano terra; ai due lati del portale sono ubicati vani che un tempo erano destinati alle carrozze, mentre nella restante parte si trovano altri vani destinati all’amministrazione del feudo, al deposito delle derrate e all’alloggio per la servitù. Dal cortile interno, tramite uno scalone si accede al piano nobile del palazzo, costruito sul finire dell’Ottocento prima che Francesca Bivona, figlia di Santi Bivona, sposasse il Barone Giovanni Battista Planeta. Recentemente è stato donato al Comune per destinarlo ad attività mirate alla valorizzazione delle risorse e delle tradizioni locali.

Il Palazzo Ravidà

D’origine settecentesca, l’edificio in stile neoclassico, è caratterizzato dalla facciata costituita da un portico a colonne sormontate da capitelli dorici in pietra arenaria, poste su un’ampia gradinata che sostengono una trabeazione con alternanza di triglifi e metope; la pavimentazione è musiva a ciottoli fluviali. Superiormente alla trabeazione si trova una torretta con tre archi per lato interposti da paraste e coperta da un terrazzo delimitato da una balconata intervallata da pilastri. Ai lati della casa si trovano dei magazzini di cui uno presenta un bel portale ad arco inflesso. All’interno vi sono una serie di sale che in origine erano pavimentate con maioliche di Santo Stefano di Camastra; in alcune di esse si mantiene la decorazione pittorica delle volte con motivi floreali e zoomorfi. Il palazzo si trova all’interno di un cortile del centro storico di Menfi.

L’Istituzione Culturale Federico II

L’Istituzione Culturale Federico II, costituita dall’Amministrazione Comunale di Menfi nel 1995, ha sede presso la Biblioteca Comunale di Menfi ed ospita una mostra permanente divisa in due sezioni: archeologica e malacologia. Nella sezione archeologica sono esposti reperti rinvenuti nel territorio di Menfi e le anfore ritrovate nella nave rinvenuta nelle acque di Porto Palo; mentre la sezione malacologia è una collezione donata dalla studiosa Vanna Rotolo Lombardo e comprende circa 1700 esemplari, di cui la maggior parte provenienti dal mare di Porto Palo, ma ce ne sono anche altri provenienti da diverse parti del mondo, come la madrepore del Mar Rosso e i balani del Mar dei Caraibi. L’Istituzione raccoglie, inoltre, circa 40.000 volumi provenienti dalle due biblioteche cittadine: la Comunale “Santi Bivona” e la parrocchiale “San Giovanni” e rappresenta un valido strumento culturale per tutto il territorio.

La torre d’avvistamento anticorsaro

Anticamente chiamata Torre di Borghetto, si trova presso il borgo marinaro di Porto Palo, frazione di Menfi. È una delle numerose torri di guardia costiere costruite nel 1583 per difendere le città siciliane da eventuali attacchi dei corsari. Ha pianta quadrata a forma di piramide cubica e si sviluppa su due piani, con varie stanze sovrapposte, di cui una con volta ad ombrello ed un caratteristico cornicione sostenuto da mensole. Ancora oggi la Torre sovrasta il porto e l’arenile di Porto Palo.

Il Villaggio Etnoantropologico

Su un costone roccioso d’arcaica bellezza, si trova il villaggio etnoantropologico, la cui esistenza è legata al nome di uno straordinario personaggio menfitano: Baldo Interrante, che nel tempo ha creato un luogo che conserva il passato e nel quale il visitatore può fare un viaggio attraverso un itinerario ben preparato alla scoperta di oggetti e cimeli di una civiltà contadina ormai quasi del tutto scomparsa.