Il nome sembra derivi dall’arabo ‘Kal-at-Munach’, che significa fortilizio di sosta. Le origini del paese risalgono al XVI secolo, mentre l’origine del feudo sive casale de Calamonachj, secondo quanto scrive Giovanni Luca Barbieri nei suoi “Capibrevi” compilati nel 1513, sembra risalire al 1296. Il sito di questo casale a cui il Barbieri si riferisce, alla luce di recenti ritrovamenti archeologici, probabilmente corrisponde al luogo dove si trovano gli antichi magazzini frumentari, ancora chiamati casi di lu fegu, al centro del nuovo abitato costruito per volontà del barone Don Antonino de Termini e Ferreri. L’ubicazione del paese non corrisponde al casale al casale a cui si riferisce il Babieri, dunque, ma probabilmente al sito di un altro casale, che aveva costituito l’abitazione di una delle due parti del feudo che Francisca Spallegga aveva erediato dal marito Giovanni Inveges. Lo testimoniano i ritrovamenti di ceramica greca e tardo medievale alla periferia est del centro urbano e i resti di ceramica tardo romana a sud.

Nel territorio in realtà sono stati ritrovati altre testimonianze di epoche diverse: una moneta bizantina ritrovata in contrada Baruccu, in prossimità dei magazzini frumentari; i resti di una torre circolare con accanto testimonianze di un insediamento indigeno, in località Pizzo Canalicchio, nonché tracce di frequentazione in età del bronzo, del ferro, ellenistica e di rioccupazione nel medioevo; mentre in località Bivio Tamburello è stato ritrovato un insediamento rurale presumibilmente di età romana. Invece non sono stati riscontrati resti del primo villaggio-casale, probabilmente per la precarietà delle costruzioni presumibilmente del tipo capanna-pagliaio, realizzate a quel tempo con materiali deteriorabili, ovvero legno e paglia. Il pagliaio non richiedeva scavo in profondità per le fondamenta, poiché anche quando la base era realizzata in pietra si trattava di grossi pezzi sovrapposti “in secco” senza ricorso a materiale coesivo. L’impasto per la costruzione, con paglia e fogliame, invece era costituito da fanghiglia. Gli altri ritrovamenti invece attestano che vi sono state diverse fasi nella storia del territorio e del paese. In particolare dal XIII secolo alla metà del XVI, quando fu costruito il nuovo centro abitato, si successero diversi proprietari del casale.

Al tempo della dominazione dei Normanni la struttura agricola fu in primis concessa a Berengario Villaraut, Conte di Caltabellotta; quando questi abbandonò la Sicilia, il casale fu concesso a Berengario de Spuches per volontà di Federico II. Successivamente passò alla famiglia Inveges, con le nozze della figlia di Berengario de Spuches con Bernardo Inveges. Dal 1408 è possesso di Giovanni Inveges passò al primo marito Pietro di Sabia e quindi, dopo la sua morte, al secondo marito Bernardino di Termini. Il paese deve la sua fondazione ad Antonio Termini Ferreri, che nel 1574 ottenne la licentia populandi. Dieci anni dopo San Vincenzo Ferreri fu proclamato patrono del paese e iniziarono i lavori per la costruzione della chiesa a lui dedicata. Nel 1630 Vincenzo Maria Termini, primo principe di Casteltermini trasformò il centro di Calamonaci in borgo. Successivamente fu feudo dei Montaperto di Raffadali. L’impianto urbanistico è tipicamente seicentesco, con espansioni sette-ottocentesche a scacchiera regolare e con comparti rettangolari allungati; le due vie principali, corso Garibaldi e via Crispi, dividono il paese in quattro zone.

I monumenti e le opere d’arte Calamonaci

La Chiesa Madre

La Chiesa Madre di Calamonaci, costruita nel XVIII secolo, sorge nell’area dove era stata edificata la prima chiesa del paese, dedicata a San Vincenzo Ferreri, dominicano spagnolo eletto Patrono nel 1584. Al suo interno custodisce pregevoli opere d’arte, quali altari e sculture. Inoltre si possono ammirare delle cappelle che si contraddistinguono per l’eleganza delle forme, gli accostamenti cromatici e le sfumature del marmo.

Il Calvario

La Pasqua è per i cristiani la festa principale ed il Calvario ne rappresenta uno dei luoghi simbolo. A Calamonaci questo è evidente, poiché per gli abitanti esso rappresenta non solo il luogo dove il Venerdì Santo si celebrano le funzioni religiose in ricordo della crocifissione di Gesù, ma una ricerca ed un contatto con il vero Calvario, quello di Cristo a Gerusalemme; infatti proprio da Gerusalemme furono portate nel 2002 le lastre di marmo bianco venate di rosso, che ricoprono oggi il Calvario e conferiscono a questo luogo di culto un fascino particolare che diventa ancora più intenso durante le celebrazioni religiose del Venerdì Santo, ovvero guardando Cristo in croce con accanto la Vergine in lutto e poi la deposizione dalla croce e la processione del simulacro del Cristo che si svolgono in serata. Oggi il Calvario, posto alla fine della via della Croce, è considerato un vero e proprio monumento da ammirare in ogni occasione e da far ammirare al turista come segno di una ricerca e di un contatto che si considera privilegio.

I mosaici, le ceramiche e la Torre dell’Orologio

In alcune piazze al centro del paese si possono ammirare suggestivi mosaici, opera dell’artista locale Vito Russo. In modo particolare si distingue la raffinata Piazza dell’Annunziata, dove trova posto il rinnovato monumento ai Caduti. Gli elementi architettonici che compongono il sito, gli archi e il grande pannello in ceramica raffigurante l’Annunciazione, richiamano alla memoria la presenza di un’antica chiesa. Inoltre molte abitazioni presentano al di sopra o accanto alla porta d’ingresso artistiche maioliche, antiche e moderne, che spesso raffigurano soggetti religiosi. Artistici mosaici si trovano anche nella Piazza del Municipio, ove sono rappresentati la luna e le stelle. Proprio alle spalle della piazza del Municipio, alla fine di una strada circondata da antichi palazzi, si staglia improvvisamente nel cielo la monumentale Torre dell’orologio, con in cima le campane. Si tratta di un monumento recente, espressione di un altro bisogno dell’uomo: quello di poter vedere con gli occhi lo scorrere del tempo, in un paese dove il tempo non corre e lo si può gustare.